Un intervento in tema di non-autosufficienza pubblicato sul portale www.disabili.com. NB – non c’è nessun riferimento ancora qui ai disagi dati dal Covid, perché i problemi raccontati qui, certo oggi aggravati dalla pandemia, sono sempre esistiti e sempre esisteranno. (leggi il post originale)

 

Non ti annoi ora, a casa e senza lavorare?” Per anni, da quando sono uscita dal lavoro, è stata la domanda ricorrente degli amici. Oggi posso dire che no, non mi annoio, per il semplice motivo che la non autosufficienza è, un lavoro. Se non full-time, part-time di sicuro.

C’è un calendario Google (vedi immagine) che io e Ste condividiamo in rete e vediamo su tutti i nostri device. In blu ci sono i suoi lavori e le sue assenze. In giallo, i miei – ormai pochi, ma ci stanno – impegni; in verde, le ore di assistenza che mi eroga ASL tramite cooperativa (12 ore suddivise tra Assistente 1, 2 e 3); in rosso le ore della mia assistente privata, 12 a settimana (lei posso permettermela grazie a un bando INPS per i congiunti di pensionati pubblici). Ogni fine settimana apro la settimana successiva, mi vedo i lavori di Ste (le colonnine blu, in tempi di Covid rarefatte, ma proprio per questo, vitali per il suo reddito). Sulle colonnine blu cerco di attaccare quelle rosse (Assistente Privata), mentre i miei impegni programmabili – fisioterapie, visite varie, pratiche, qualche uscita – cerco invece di modularli sulle ‘colonnine verdi’, le ore di cooperativa non flessibili, a calendario fisso. Lo so, sono fortunata ad avere un marito-caregiver che lavora per conto proprio e può rinunciare ai lavori, in caso di bisogno (le nostre finanze lo sono però molto meno); così come sono fortunata ad avere diverse ore di assistenza (vista la progressione di disabilità, nessuna è superflua). Sono un po’ meno fortunata però, perché la fatica totalizzante della mia sclerosi multipla mi costringe ad ‘aver bisogno di’, per attività che altri magari svolgono ancora da sé: cucinare, guidare, lavarsi e vestirsi… In mezzo a questa fortuna/sfortuna, c’è il Risiko.

La mia fisioterapista ha un infortunio, il medico ha un ricovero e mi cambia data, l’amica ha problemi coi figli, Ste è richiesto per un lavoro improvviso? Salta tutto. Si spostano le colonnine blu o gialla. Si chiama Colonnina rossa (assistente privata). Magari non può venire: lei ha già un mio prospetto settimanale che devo fornirle in anticipo, ogni fine settimana precedente, e su quello, modula gli altri suoi lavori. Allora si chiama Colonnina verde (cooperativa) o se il rapporto lo consente, si manda un whatsapp ad Assistente 1, 2 o 3 (nel caso, si integra di tasca propria). Ma se l’imprevisto diventa strutturale, si deve richiamare a mani giunte Colonnina Verde, perché va modificato il calendario delle operatrici ASL, ed è improbabile che Assistenti 1,2 o 3 siano libere. Va trovata quindi una ‘Assistente 4’ che sia libera, e – niente affatto scontato! – formata per gestire 60 kg di persona in carrozzina con fatica e spasticità. Ovviamente tutto ciò, a stretto giro, è impensabile. E allora si tenta il Risiko: si sta soli. Magari, quel giorno, dice bene.

Gli imprevisti poi possono venire – la cosa più normale e umana del mondo – dagli stessi soggetti che mi assistono (una malattia, un’assenza, una mancata sostituzione); e che dire della tecnologia, che in genere ci aiuta tanto? L’altroieri non si sono sincronizzati i dati del famoso calendario Google: la colonnina blu che vedevo io su smartphone era tutta diversa dai nuovi impegni di Ste, e alla fine ero scoperta… Di nuovo, ci si attacca al telefono. O si manda tutto a quel paese, chè ogni tanto fa pure bene.

La non autosufficienza è un Risiko, sì, e un lavoro di coreografia: organizzare, tutti i giorni tutta la mia rete attorno (che c’è, ringrazio sempre che c’è) con un solo, frustrante obiettivo: non esser lasciata sola col mio corpo inaffidabile. Perché a volte dice bene… Ma molte altre, invece, no. E sono cavoli.