Si dice ‘domotica’ e si pensa a chissà quale orizzonte fantascientifico. In realtà può riguardare tante piccole cose, facilitazioni magari banali per chi non ha problemi, enormi invece per chi i problemi li ha. Gli avvolgibili, per esempio: anche questa è domotica. Io me lo chiedo ogni giorno come farò a sollevare gli avvolgibili delle finestre quando finirà l’autonomia che ho nelle gambe. Ogni mattina mi faccio forza, mi alzo dalla carrozzina, mi appoggio al muro e li tiro su. Mi eviterei un sacco di fatica meccanizzandoli, ma confesso che è un piacere. Mi rimette verticale e mi fa iniziare la giornata in modo ‘giusto’, quel modo giusto che ancora esigo da me senza indulgere alla fatica, perché sarebbe tirare i remi in barca.

Ho sempre pensato così con le barriere di casa, vecchie e nuove, fisiche e tecnologiche. L’ho pensato con i sessanta fottuti scalini che ho salito per cinque anni nella nostra vecchia casa; lo penso oggi tutti i giorni quando c’è qualcosa non alla mia altezza (fisicamente intendo), e mi va bene così: studio i punti d’appoggio, mi carico e mi alzo; lo penso quando devo tirarmi fuori due cose dal frigo, accendermi i fornelli, mettermi in carrozzina solo per andare ad alzare il riscaldamento, accendere quella luce lì al pavimento scomodissima… Insomma ogni volta che devo fare ‘quello sforzino in più’ che m’illudo rallenti una sclerosi multipla progressiva. Difendo come Fort Knox l’abilità residua del mio corpo stando un po’ scomoda, faticando un po’. I terapisti mi esortano: “evitati quella fatica inutile, Laura” e vorrei rispondergli, qual’è la fatica inutile? Faticare nei piccoli gesti in casa è essere attivi, ergo faticare è vita. Perciò mi tengo i miei piccoli, faticosi, gesti quotidiani nei 70 metri quadri che abitiamo in affitto. Bagno, doccia, terrazzo li abbiamo adeguati a regola d’arte grazie al proprietario, che ci ha approvato ogni modifica per ciò che riguarda le barriere fisiche.

Però c’è ben altro oltre il bagno, e man mano che aumenta la fatica quest’altro diventa non solo utile, ma necessario. Per esempio se mi ostino ad alzarmi per riavvolgere le ‘famose tapparelle’ e non è il momento, finisco in terra; e avanti così per ogni azione che presupponga alzarmi, andare, allungarmi, accendere, aprire, azionare. Ho un marito che è una forza della natura, chi mi legge e lo conosce lo sa bene. Stefano ‘butta in là il cappello’ oltre gli umani limiti per aiutarmi e facilitarmi in ogni angolo di casa. E in quel campo specifico sono fortunata perché è il perfetto homo tecnologicusper professione e per curiosità insaziabile: ogni soluzione comune come app per smartphone o sensori, lui l’ha già pensata o ci si sta addentrando (è un universo nuovo pure per lui). L’impianto stereo in wi-fi che si attiva da smartphone in tutte le stanze? Ce l’ho. Le luci in soggiorno e cucina che si accendono col solo passaggio della mano su un sensore? Ce le ho. L’assistente di Amazon, con la sua vocina femminile e suadente? Ce l’ho, per tutto quello che riesce a fare (per esempio le luci le comando sia con lei che con lo smartphone). Il resto in casa è ancora intatto, in nome di quella ‘fatica utile’ che mi piace provare ancora.

Un domani però, se quello sforzo non basterà più, in casa come la mettiamo? Perché a volerne avere l’ambizione, la vera domotica è un’altra storia. La domotica intesa come automazione domestica, il controllo remoto dell’ambiente casa, è fatta d’impiantistica compatibile: se non hai una ditta unica di elettrodomestici con cui ti sei progettato casa, diventa complicato. E poi c’è l’aspetto economico: a parte i comunicatori vocali o grafici per patologie particolari, la maggior parte dei sussidi non sono rimborsabili. Bandi specifici nelle regioni ne escono, ma sporadici e a macchia di leopardo; esistono anche in Umbria dei contributi per il controllo dell’ambiente domestico, ad esempio con la legge Vita Indipendente o con il bando INPS Home Care Premium, ma riguardano soltanto i già beneficiari; l’invalidità e la legge 104 danno diritto a Iva agevolata e maggiore detraibilità, ma nel frattempo i soldi bisogna metterli da sé: e quello che vedo nell’ambito è che il disabile senza soldi resta – è proprio il caso di dire – “a piedi”, mentre quello che può contare su congrui risparmi ce la fa. La domotica mi pare un orizzonte lontano, in un mondo in cui già abbattere le barriere fisiche è una lotta.

Per il momento, in attesa di qualche altra diavoleria smart dell’homo tecnologicus, di un contributo o alla fine di autofinanziarci, io continuo a fare la mia fatica utile quotidiana. Le tapparelle? Aspettano. E finchè ce la faccio, è un gran piacere.