La ferocia di un corpo che non risponde a nessun comando è qualcosa che non si può descrivere. Io però ci provo. Metto a nudo sempre più la mia quotidianità intima, non è facile neppure per me, e so bene che può destare rigetto o fastidio. Ma cos’altro mi resta per sfogarmi e “curarmi” se non scriverne?

Ho già parlato della fatica centrale o ‘primaria’, di come la mia giornata tipo sia spezzata in due mini-giornate, le ore pomeridiane a letto paralizzata e con la testa dolorante, con tutto ciò che ne deriva in termini di perdita di vita e partecipazione. In quelle ore, in cui se vado in bagno anche rialzarsi dal water è difficile, in genere riesco a concentrarmi sui vari distretti del corpo e – appoggiandomi a pali e maniglioni – anche a rivestirmi in piedi (come ci si riveste da paralizzati o quasi? Come vi infilereste la canottiera nelle mutande, per dire? Sono cose a cui la gente comune non pensa, si pensa solo in astratto alla disabilità). Attivo i piedi, attivo le natiche e gli addominali – cioè il nostro meraviglioso ‘tronco’, che ci fa stare dritti – e recupero 2 o 3 secondi dritta per vestirmi. In questi giorni però – complice forse l’inizio della stagione calda – non solo la fatica si è dilatata, lasciandomi libere pochissime ore al giorno, ma si è fatta violenta, acuta. E anche le manovre basiche diventano rischiose. La notte ad esempio e al mattino, alzarmi è un lungo e paziente tentativo di rianimare gambe e busto, perché se lo faccio di botto, vado a terra. Ogni tentativo quindi richiede un lungo e reiterato: pronte, gambe? Pronte? Ci siete? Attiva, Laura. Attiva le gambe. La maggior parte delle volte va bene, altre invece corre Stefano a raccogliermi sul pavimento.

A provocare sia la fatica solita che quella più feroce degli ultimi tempi, è la conduzione rallentata degli impulsi nervosi. Che è altro discorso dalla cosiddetta perdita funzionale. Giorni fa ero con Silvia, la mia assistente, Stefano fuori per lavoro (sfiga vuole che a un marito certe cose capitino quando è fuori). Fatica violenta, devo pranzare in poltrona e imboccata. Faccio per alzarmi dalla poltrona, la carrozzina lì parcheggiata ad angolo novanta gradi, Silvia che col suo fisico esile cerca di aiutarmi: niente. Le gambe, non si alzano. Le gambe, non ci sono proprio. Se qualcuno mi chiedesse in quel momento, le senti le tue gambe?, La risposta sarebbe no. C’è qualcosa di spento lì dentro, che non riesco a descrivere. Ricordo ai profani che non ho una lesione spinale per cui, pur con tutte le difficoltà di movimento della patologia, io il mio corpo lo sento. Ma in quel momento, così come in sempre più momenti, il mio corpo non lo sento più. Lo guardo, è lontano da meE a quel punto, come lo faccio, il passaggio di pochi centimetri dalla poltrona alla carrozzina lì a fianco? “Con le braccia”, direte voi. Ma anche le braccia sono spente: sempre a differenza di una lesione spinale, io non ho alcun ‘compenso di forza’ nelle braccia. Manovre con Silvia, avvicinamenti della carrozza, del letto, proviamo così, facciamo cosà, ma alla fine per la prima volta bussiamo ai vicini di casa. In due mi hanno tirato su di peso, sono andata in bagno, poi ho ceduto e sono scoppiata a piangere, esausta, la prima volta davanti a estranei. “Scusate”, continuavo a ripetere – loro, dispiaciutissimi – “scusatemi, non ce la faccio più a essere razionale ed equilibrata”. Sergio, l’unico vicino maschio che c’era e che mi ha potuto tirar su di peso, da medico qual è, annuiva quando gli spiegavo come mi sentivo.

La sclerosi multipla compromette la conduzione nervosa, cioè gli impulsi elettrici fra neurone e neurone e quindi in tutte le reti neurali (nella foto, ndr), a livello centrale. Immaginate un filo elettrico scorticato o spezzato, dove non passa più l’elettricità: accade nelle lesioni, sparse e disseminate, che la malattia ha provocato su encefalo e midollo spinale. Ma si tratta di lesioni, sorta di ‘buchi’, localizzati. Tutto il resto del sistema nervoso compensa moltiplicando il lavoro altrove: è il fenomeno della ‘plasticità’ (i medici perdonino le semplificazioni). Succede però, in certi momenti o periodi, che il tessuto nervoso ‘non ce la faccia più’ a svolgere questo lavoro di conduzione supplementare, e i segnali si rallentino in modo drastico, fino ad azzerarsi. Il mio corpo era ‘spento’: conduzione segnale a zero. Il nostro corpo, i movimenti, i gesti, le funzioni, i pensieri, la nostra vita, tutto quanto è un impulso elettrico. Se salta l’impulso, il corpo è off. E il mio corpo in quel momento era off.

Me ne sono andata a letto pensando basta, mando via l’assistente, voglio star sola. Non sono pazza: conosco il mio corpo e la malattia meglio di chiunque al di fuori. E so che tra un’oretta, ricaricate non so come le ‘batterie’, io mi alzerò e andrò in bagno di nuovo autonoma. Com’è possibile tutto ciò? Io la chiamo la ‘stupefacenza’ della SM, perché nelle sue altalenanze è stupefacente. Mi alzo infatti dopo un po’ e pare tutto okay, ma c’è qualcosa che non va. Vado in bagno, mi sposto bene sul water (stupefacente, appunto). Poi però devo rivestirmi. Vi ricordate quella ‘attivazione mentale’ per star dritta tre secondi? Assente. Il cervello non ‘chiama‘ nessun distretto. Ricado sulla carrozzina ancora spogliata, la tuta acciuffata alle caviglie. Riprovo, attaccata al maniglione, e giù, ricado. Riprovo, ricado. “Attiva le gambe, Laura”. Niente. Ho il telefono sempre con me ormai: sarà che devo richiamare Silvia a casa, solo per farmi ri-mettere la tuta? Ma non sia mai. Non esiste. Adesso tu ti riposi un paio di minuti, respiri, ti concentri, prendi fiato e riprovi. E che cavolo.

Mi alzo, cado dritta come un palo sulla parete davanti (il bagno è piccolo) e vedo che sto scivolando giù, giù, giù, inesorabilmente con la faccia sul termosifone. Gambe, attivatevi. Niente. Piedi, attivatevi. Niente. Avambraccio che te ne stai pigiato sul bordo del lavandino, vivaddio attivati, forza!.., niente. Scivolo a terra, botta di sedere e che sarà mai, già è successo, son seduta. Il “meraviglioso tronco” però mi ha abbandonato pure lui: il busto non regge e cado indietro, testa sul pavimento. Il telefono è lì. Si tratta di prenderlo e trovare almeno UN dito che riesca a digitare “Silvia”, perché anche mani e dita, in quel momento, sono come anfibi sott’acqua. Fatta la chiamata, sto giù a terra, le gambe rigide per la spasticità e nude con la tuta abbassata. Ho fatto casino con la testa sulla mensola, la roba è sparsa in terra, mo’ chi la raccoglie… Mi è passata accanto al viso una formica, mi sono arrivate le formiche in bagno, mannaggia. Quanto passa, perché Silvia arrivi? Intanto che aspetti, prova a riattivare qualche parte. Niente Pensavo di averne avuto abbastanza per oggi e invece eccomi qua sul pavimento. 

Non è certo la prima volta che il mio corpo va in blackout totale. Non più di un mese prima episodio analogo: lì ero caduta stesa sul parquet in camera, e riacchiappare il cellulare quella volta fu un’impresa pure peggio: lo vedevo lì caduto, io prona con la faccia girata sul pavimento, e lui a due metri di distanza: avrei dovuto piegare le gambe, raccogliermi da seduta, raddrizzare perlomeno il busto, afferrarlo e digitare la chiamata (‘afferrarlo e digitare’: pensate sia l’operazione più semplice? Affatto). Raggiunto lo smartphone, tasto rapido, assistente in arrivo. Dieci minuti lì inerte e, garantisco che non c’è alcun effetto psicosomatico, la ricordo la sensazione fisica, le braccia erano ritornate. Erano ritornate ‘attive’ le braccia, era ‘tornato’ il busto, e non so come mi ero rimessa seduta: sul pavimento, ma seduta, e già era molto. Arrivata l’assistente, ero risalita da sola sulla carrozzina: tornate ‘vive’ pure le gambe, un disperato appoggio su spigoli e mobili, e là. Miracolo! Conduzione elettrica ritornata. Se non è stupefacente questo.

Come si convive con tutto ciò? Avresti bisogno di una badante h 24, per chiamarla magari una volta a settimana, ma quella sola volta è un tutto/niente, co ‘sta bastarda di malattia”, mi dice Ilaria, l’altra assistente. Come si convive con una conduzione di segnale altalenante e capricciosa, che tutti i giorni ti affossa per ore; e che ogni tanto, non ti avvisa quando, si azzera e ti lascia inerte, a terra, immobile, per poi all’improvviso ridarti autonomia? Come la gestisci? Non solo a livello emotivo ma di sopravvivenza pratica, giorno per giorno?