Quel locale in centro storico giù per via Sant’Ercolano, come si chiama, quello che va tanto… C’è quell’evento che mi interessa. Ma come ci arrivo? I titolari sono gentili: mi hanno avvisato che se riesco ad arrivare all’ingresso, che non è facile, il locale è al primo piano senza ascensore e proverannno a tirarmi su… Niente, non ci vado. Tutti ne parlano di quel locale, e io neppure l’ho visto né mai lo vedrò. Amen.

Scrivere di accessibilità nella propria città è segnare un rigore a porta vuota. Eppure mi decido dopo molto a scriverne, mica per mancanza di materiale. Ma perché non so dove mettere le mani. Come l’affronto, il racconto della mia città vista cogli occhi di un disabile motorio? Un bel paio di maniche.

È impossibile godersi il centro storico come prima, e se da una parte è inevitabile e non si può pretendere miracoli – chi conosce l’acropoli perugina sa di cosa parlo – dall’altra qualcosina in più si potrebbe tentare. Da carrozzata, il centro storico per me è diventato lo ‘scheletro’ di quello che vivevo prima: una ‘demo’, un percorso ristretto al ‘veramente essenziale’. Corso Vannucci, Piazza Matteotti, i Giardini Carducci, Piazza IV Novembre e stop: tutto il resto è off limits. Venderei l’anima per 3 assistenti forzuti tipo “California Dream Men” che mi carichino a spalla e mi facciano rivedere l’acquedotto e la via Appia, Via dei Priori, Via Oberdan fino a Sant’Ercolano, ma anche – sognare non costa nulla – la Via Scoscesa, Via Ulisse Rocchi, Via della Viola, Corso Garibaldi, le traverse e viuzze che si snodano dal corso e aprono su angoli magnifici… Un amarcord infinito. Ma passiamo oltre e tentiamo un po’ di shopping. Sempre ad arrivarci e trovare un posto, in acropoli. L’ascensore che porta in centro dal parcheggio del Mercato Coperto dopo mezzo secolo è nuovo e finalmente accessibile: male che vada la caccia al posto auto, posso sistemarmi là. Che rivoluzione! Il vecchio ascensore era sì accessibile, ma subito fuori c’era un cancello con 3 o 4 scalini. Finchè facevo qualche passo la carrozzina era in braccio all’assistente, io mi aggrappavo al cancello tipo ‘Uomo Ragno’ (se la ricordano pure i parcheggiatori, la scena), e superati gli scalini lei mi metteva sotto il sedere la carrozza. Con la progressione di disabilità non è stato più possibile, e per lungo tempo ho dovuto cercare in piazza. Tanti i pass disabili esposti, ma quanti reali dell’utente e non di qualche anziano a casa? Un sospetto confermatomi dal comandante della polizia municipale: “vogliamo stanarli signora, e lo faremo”, mi aveva detto in un colloquio. E così, a piazze piene, l’ascensore nuovo dal parcheggio sotterraneo mi ha cambiato la vita, e vai con lo shopping. I negozi però sono tutti inaccessibili. Lungo Via Baglioni c’è quel negozio fighissimo di oggettistica, hanno la rampa portatile. Fantastico. “Non possiamo fissarla, però” mi dicono “sa, c’è l’occupazione del suolo pubblico”. Ce ne sono alcuni altri belli, nuovi, sale da thè moderne e (semi) accoglienti: peccato che la rampa, ed è già una bella cosa che ci stia, ti porti all’ingresso con un bel gradino finale. Se ne renderà conto, il titolare? Io credo alla sua buona fede. Dove c’è menefreghismo è un conto, ma pure dove c’è buona volontà, spesso l’ignoranza tecnica rovina una bella idea. Che diventa inutile, dettata più dall’estetica o dai ‘centimetri per legge’ che dalla reale funzionalità. Forse farsi un giro in carrozzina, per un solo giorno – come già fanno i sindaci volenterosi di alcune città – sarebbe utile a chi progetta, all’amministratore o anche al privato che rinnova il suo locale (e pensa che sia perfettamente “a norma”).

Ma basta di fissarsi sul centro storico che non la finisco più… Dimenticavo i due cinema d’essai: uno parzialmente accessibile (montascale presente ma collocazione impervia), l’altro proprio inaccessibile, e che dispiacere saltare tutti i suoi eventi. Suvvia, se si esce appena dall’acropoli, qualcosa si trova. Per esempio quella bella pizzeria ai Tre Archi che è diventata lo sfogo mio e di Stefano per le cene. La più accessibile, un design nella sala superiore fantastico, posso arrivarci con l’ascensore interno e… Ah già, l’ascensore non è in funzione. Non è guasto, proprio non in funzione per problemi burocratici. Ciao sala superiore, resto a piano terra. In fondo sono disabile e più che divertirmi devo curare le pratiche di welfare: ma il mio patronato, fino a poco tempo fa la sede del centro – ora ‘sistemata’ – e a tutt’oggi la sede principale in stazione (ci si arriva solo da una scalinata enorme e dentro si resta a piano terra) è inaccessibile. Eppure il target del patronato è fatto in gran parte di disabili e anziani… Anche qui: non è che serva Renzo Piano. Un montascale o scivolo adeguato basterebbe. Sempre poco fuori dal centro, a Monteluce (il mio vecchio quartiere, quello dei sessanta fottuti scalini, di recente riqualificazione), c’è un mix di archeologico e nuovo. Nella vecchia palazzina del mio medico per esempio l’ascensore di condominio è nuovo di zecca, futuristico. Tempo, lavori, soldi. Peccato che si siano dimenticati il mega-gradone subito davanti, nell’atrio. È un poliambulatorio medico che serve tutto il quartiere, tradizionalmente popolato di anziani. Amen.

In una città complicata come Perugia, lo riconosco, è più facile spostarsi in periferia, sia per il tempo libero che per i servizi. Ma anche qui – e spesso anche sul nuovo – la situazione è un disastro. Forse non è previsto che un disabile possa andare da solo in un ufficio, alle poste o altro. Il volume di traffico fa la sua e pure la proverbiale smania dei perugini di voler parcheggiare a un metro dalla destinazione. È rivelatore andare in giro con le assistenti, e ascoltare i loro commenti mentre si fanno in quattro per aggirare dislivelli, gradini, marciapiedi senza rampe o con una soltanto all’inizio, o ancora, marciapiedi dissestati (abbiamo imparato a “sfruttarli” nei punti crollati, per risalirli stile fuoristrada), cactus giganti sul marciapiede fuori dalle pizzerie (“ha ragione, in effetti è un po’ pericoloso…“), rampe che sulla strada finiscono dritte in un tombino infossato (“ma che ti vogliono far fuori?“). Pure loro hanno iniziato a farci caso da quando ti assistono: prima, non lo notavano. Adesso, sono più agguerrite di te. La periferia: Ponte San Giovanni, San Sisto, Fontivegge, ovunque nei quartieri, anche sul pianeggiante c’è sempre più di un ostacolo a fotterti, a volte pure intorno al posto disabili (amanti del Trasimeno, andate a San Feliciano, nel posto disabili del parcheggio vista lago: provate a uscire di lì, senza volare). Barriere vecchie e stratificate, manti stradali da gimkana in carrozzina, percorsi iniziati accessibili ma incompleti, strutture progettate senza pensare alla reale fruibilità (si vada, da disabili, alla più recente multisala di Perugia), parchi belli ma faticosissimi (Corciano, Colle della Trinità col sentiero imbrecciato: basterebbe un piccolo camminamento laterale), teatri – pure destinati al volontariato! – poco agibili (ancora a Corciano, teatro L’Arca, la rampa ha un 45% di pendenza, roba da free-style), esercizi commerciali di ogni tipo e genere… L’elenco è sterminato.

Alla fine so solo una cosa: che il P.E.B.A., piano comunale di eliminazione delle barriere architettoniche, previsto da varie leggi in tutte le città e pure a Perugia, qui è ancora lettera morta. Una delibera della giunta comunale di novembre 2019 ne prevede finalmente lo sblocco (a oggi non si vede l’avvio); nelle iniziative a tema si ribadisce che non ci dovrebbero essere vincoli di bilancio per diritti tutelati dalla Costituzione. Ma a oggi, questa è la situazione. E sempre più spesso mi limito alla “passeggiata ristretta” in centro, la ‘demo’ della mia città.
Il quotidiano, le incombenze? O le delego, da casa, oppure aspettano.