Chi ha una disabilità grave, chi è non autosufficiente, quindi fragile, non subisce solo i contraccolpi della quarantena in queste settimane di lockdown per Covid-19 più degli altri (il mancato follow up in ospedale, la dilazione delle terapie, l’accesso ai farmaci o il mero approvigionamento più complicato, la scarsa mobilità, la non-riabilitazione, l’assistenza che manca)… Ma può ritrovare, nella casa dove tutti oggi si inventano qualcosa – devono, inventarsi qualcosa – delle risorse che già aveva prima, e che ora tornano monete utilissime da spendere.

Io per esempio ho da tempo una mia routine quotidiana che coi tempi – lenti, lunghi, a volte sfiancanti, per la verità – della disabilità e della fatica centrale, ora diventa preziosa. Un solo esempio: mettersi in testa, ogni santo giorno che il padreterno manda giù in terra, di alzarmi dalla sedia e camminare. Proprio in questi giorni guardacaso sono tornata, dopo molto tempo e dopo una discreta progressione di disabilità, a rifare i miei cento passi. Cento passi pure già al mattino! E per me, una routine quotidiana che oggi a molti pare logorante, è una abitudine normalissima.

Il mio corridoio: ci sono 20 passi contati che vanno dalla sala dove mi alzo dalla carrozzina col deambulatore (sempre che riesca, e non è affatto scontato, lo sa Stefano, lo sanno le assistenti) al muro finale, che va alle camere. Se riesco a percorrerli, quei 20 passi diventano poi per forza 40, perché devo tornare indietro (se riesco, faccio “pausa” nel tragitto appoggiandomi dritta al muro, che è tanta verticalità e tanta ‘core stability’: me lo ritroverò in doccia alla sera, quando riuscirò a stare dritta, in piedi). In genere conto 20+20. Con 40-60 passi posso dirmi soddisfatta a fine giornata.

Ma se sono in forma, 20+20, pausa, poi altri 20+20, e così via. Ottanta si raggiungono bene, se è uno dei giorni buoni, e poi, non vuoi farne 100? Massì. A volte, come stamane, non più tanto spesso ultimamente, l’andata già si prolunga a 35, che alla fine sono 70, perché poi ricordatevi, dovete sempre tornare indietro (e non sia mai che io chieda la carrozzina in emergenza. Sputo sangue, piuttosto). Poi, bisogna vedere “come” cammino. La spasticità aiuta nel senso che hai due pali tesi e non cadi, e malamente, ma stai in piedi: che bello però tornare a flettere un po’ le gambe, sentire il passo che vorrebbe ri-articolarsi, il piede col tacco-punta, sentire il peso del tuo corpo, in verticale. Tutto ciò non è illusione di fermare la progressione della malattia, ma minima circolazione venosa, minimo benessere osseo, mobilità e motilità, esercizio fisico, pulsazioni in fase aerobica – a 20 passi già sto come nelle vasche di warm-up quando nuotavo – quindi di conseguenza, endorfine… Vogliamo altro?

Ecco, in tempi normali, presa dagli orari stretti delle manovre e assistenze mattutine e delle uscite accompagnata, i miei 100 passi avevo cominciato a lasciarli perdere (e si vedeva). Ora, non ho più scuse: ora, li sto riscoprendo. Le mie ore, anche fino a tardi, si scandiscono in minuscoli momenti per esercizi, stretching, respirazione, meditazione. Non è sempre facile, non faccio l’eroina: c’è spesso un incidente, una caduta, il dolore, l’incontinenza, la paralisi, che già a inizio giornata rovinano le buone intenzioni, e sono pianti. Ma poi quelle intenzioni ritornano, ancora più incazzate, alla sera, con Ste che guarda un film (e mi aiuta) e io che cerco di combinare qualcosa sul tappetino.

È una routine un po’ grigia, lo so. La mia giornata è da anni – e sempre di più – scandita, routinaria, cadenzata, lenta. Non posso sceglierla. Ma oggi mi ritrovo a spendere questa moneta preziosa, che faccio fruttare cogli interessi. E mi immagino che debba esserci improvvisamente qualcosa del genere, senza però neanche il tempo di un’abitudine, per tutti.

Ognuno spenda la sua, di moneta.