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Tramontata la speranza di un referendum sull’eutanasia legale, resta in piedi il disegno di legge sulla “morte medicalmente assistita”. È un passaggio storico comunque, se si pensa al silenzio politico che ha caratterizzato questi anni. Approvato con fatica alla Camera, attende di approdare in Senato. Proprio in vista di quest’ultima fase, peraltro in salita, vorrei dire la mia.

Il Ddl suicidio assistito, oltre a una serie di criticità – sono inseriti parametri ancora più rigidi della sentenza Cappato a cui fa riferimento, mentre mancano regole importanti come la tempistica – così com’è ora, ha un limite macroscopico. Sono esclusi dell’aiuto a morire tutti i pazienti, ancorchè gravi o gravissimi, non dipendenti da “trattamenti di sostegno vitale”. Ovvero, in soldoni, non attaccati a un macchinario o a una terapia salvavita. Sembra quasi (…quasi?) che non si riesca ad andare oltre lo “staccare la spina“, nei faticosi compromessi politici italiani.

La mia domanda oggi è: perché, una volta riconosciuta una libertà di scelta con certi parametri di gravità, si fanno dei distinguo tra chi è attaccato a un ‘macchinario’ e chi no? Chi o cosa decide, “Tizio può morire mentre Caio, no”? Non la gravità, l’irreversibilità, le sofferenze insopportabili, ma una ‘tecnica’?

Sono malata di sclerosi multipla, molto grave dopo 26 anni di decorso e dopo gli ultimi 7 anni di evoluzione nella forma progressiva. La malattia non è mortale, non lo è direttamente salvo complicanze. Puoi arrivarci pure a 90 anni, in quali condizioni è un’altra storia, ma non intacca, come meccanismo patologico, le funzioni vitali, e quindi può diventare un “fine pena mai“. Io ho ancora momenti belli di vita (e ancora voglio vivere!): ma se proviamo a dare un’interpretazione estensiva al concetto, e certo, che già ricevo ‘trattamenti di sostegno vitale’.

Sono trattamenti di sostegno vitale le mani e il corpo di mio marito, che ogni notte – ogni singola notte! – almeno una se non due volte, si alza su mia richiesta di aiuto, viene al mio letto, mi alza le gambe per placarmi il dolore bruciante dato dall’edema linfatico, a sua volta dato dalla paralisi; mi solleva il busto per mettermi seduta, tenendomi ben ferma per smorzare spasmi, cloni e tremori (le gambe hanno movimenti involontari e urtano sul letto, per questo sono costellate di lividi); placati gli spasmi mi tira su di peso, mi piazza sulla carrozzina, mi porta in bagno, mi solleva, mi piazza sul wc, mi tiene perché, torpida e senza tronco attivo, non rotoli per terra (ndr la risposta a “perché non usate un sollevatore” è tecnica, abbiate la pietà di non richiedermelo); mi lascia fare la pipì. Mi allarga a forza le gambe, serrate dalla spasticità, mi porge la carta e mi lascia pulire da sola ma solo perché mi tiene su lui il tronco (altrimenti dovrebbe fare lui, e spesso lo fa). Mi ricarica su, mi riporta, mi stende sul letto, contiene i nuovi spasmi per stendermi le gambe, mi gira sull’altro fianco, mi saluta. Così tutto il giorno fino a sera, e di nuovo la notte dopo.

È un trattamento di sostegno vitale che mio marito o le varie assistenti mi alzino dal letto al mattino, tutte le mattine, perché il mio corpo, nonostante letto elettrico e spondine d’appoggio, soprattutto al mattino non lo sento nè muovo; che mi portino a colazione, me la preparino, quasi sempre mi aiutino imboccandomi (una volta era solo a pranzo, nelle ore della fatica acuta: oggi è colazione pranzo e cena), mi alzino la tazza del caffè o il bicchiere (torpida dal sonno, braccia e dita sono assenti). È di certo un trattamento di sostegno vitale che subito, immediatamente dopo, mi portino di corsa al wc, aspettino quando sono pronta, e soltanto allora mi alzino su, perché se fanno troppo in fretta, ogni giorno – ogni singolo, giorno! – me la farei addosso.

A volte purtroppo capita, è capitato non solo con Stefano, ma anche con loro. Vi assicuro che non è la stessa cosa pulire un bebè o un anziano, e una donna paralizzata, in lacrime perciò ancora più rigida, poi su wc rialzato. Lilia, la mia assistente, è stata la prima a varcare questa soglia dolorosa, guanti, capacità tecnica e ironia alla mano per calmarmi. È riuscita a pulirmi senza causarmi infezioni, quelle sì pericolose, se reiterate. Se non era per lei io stavo a terra a rotolarmi in un porcile. Direi che questo è un sostegno vitale.

Sempre Lilia, fidata operatrice per Asl, ha varcato la soglia del lavarmi i denti. Quel giorno la fatica era troppa. Non bastava la solita, quotidiana mano sulla testa per sostenermi, io accasciata sul lavandino, come se dormissi o fossi strafatta, lei che mi organizza lo spazzolino e mi sciacqua la bocca: no, è dovuta entrarmi in bocca lei, e lavarmi (“Ci riesci, Lilia? Riesci ad andare lì sui molari?”). Questa è la mia fatica centrale: una sorta di svenimento feroce, quotidiano, fisso, senza spiegazioni mediche né terapie. Stefano e le assistenti spesso mi caricano in due perché sono a peso morto: carrozzina, poltrona, doccia. Senza, sarei completamente inerme. Direi che è un sostegno vitale. E sempre a proposito delle funzioni corporee, una donna paralizzata e con fecaloma (vi auguro di non sapere cosa sia), secondo voi come può farsi un clistere? Glielo fanno (marito, assistenti); e invece, come può svuotare la vescica neurologica? Un po’ di sforzi da sola, per fortuna, perché “se dovesse tornare a fare cateterismo, Laura, purtroppo dovrebbe addestrare qualcuno a farglielo“, parole del mio urologo. E allora, assistente o marito, mi pieghi il busto in avanti? No, non così, non reggo il busto, cado! Così. Ed ecco che, improvviso, si apre il flusso della pipì. Con perizia e molta fatica evito di costringere chi mi assiste a cateterizzarmi. Non è paura, conosco la pratica. Solo, evito di entrare nella pericolosa routine delle infezioni da manovra invasiva. Anche questo per me è sostegno vitale.

In mezzo a queste giornate, infilo fisioterapie di vario tipo. E per quanto oggi ormai facciano poco, quelle sì che sono trattamenti di sostegno vitale. Se oggi non sono ancora allettata, lo devo di sicuro alle fisioterapie. Oggi sono non più tanto riabilitative, quanto di sollievo ai vari dolori che complicano una malattia già complessa: il coccige lesionato per una caduta, mentre scrivo ora sento il dolore che mi impedisce di sedermi (non potersi sedere per me, potete immaginare?…); gli adduttori doloranti per le manovre che devo farmi fare tutti i giorni; spalle e braccia infiammate, perché fanno il lavoro di tutto un corpo spento. Simone, con le sue cure elettromedicali, mi tratta sempre più spesso ma la sua bravura insegue i miei dolori come un bersaglio mobile: non gli stiamo dietro, ne scompare uno e ritorna l’altro (NB uso da anni la cannabis terapeutica, è ovvio che su questi come altri dolori non può intervenire). Come le mani e braccia di Daniela, che in acqua mi rimette quasi in piedi, mi scioglie la spasticità, mi restituisce qualche movimento, alla fine mi fa risentire viva. E così come la movimentazione di gambe e braccia ad opera della mia volenterosa badante, immancabile come una tassa tutte le sere, e i linfodrenaggi, che insistono sulle gambe doloranti e mi permettono di andare a letto senza la paura del dolore ai risvegli o perlomeno, visto che un po’ di dolore resta, di non svegliarmi al mattino già distrutta.

Terapie, farmaci (cannabis, antiepilettici perché sono pure epilettica, immunosoppressori), presidi sanitari, assistenza, ausili – dimenticavo lo ‘standing’, grosso ausilio meccanico che mi fissa in piedi qualche minuto e mi allena anch’esso per non allettarmi – tutto questo è la mia routine quotidiana per mantenermi in condizioni decenti. Senza tutto ciò, oggi non potrei: nutrirmi, lavarmi, vestirmi, spogliarmi, pulirmi, sedermi, cambiare posizione, grattarmi, dormire, spostarmi a e da, prendere in mano, raccogliere un oggetto, curarmi, alleviarmi i dolori, 24×7 giorni, e in progressione. Non è, tutto ciò, sostegno vitale?

Ma secondo i parametri dell’attuale disegno di legge, io – come altri malati gravi e irreversibili – non rientrerò nel diritto di scegliere. Perché non sono attaccata a una macchina.

Chi ha voce e peso, si mobiliti.