Ma cosa ti fa quella roba?” Gli amici intimoriti. “Ti allucina?” “Poco più di un sorso di prosecco a digiuno”, sorrido. “Me la fai annusare? Di che cosa sa?”Di spremuta di cicoria, amaro”. “La tieni pure in borsetta?” “Certo, ma devo avere il foglio di trasporto sempre con me, è sostanza stupefacente a tutti gli effetti…” (Detto che sfiderei qualunque carabiniere che ci fermasse in auto, la sedia a rotelle nel retro e in borsa uno spray medico sublinguale, a metterci in manette… Ma meglio esser cauti).

Sono le reazioni tipiche della gente quando gli dici che fai uso di cannabis terapeutica. E queste reazioni dicono tutto sull’atteggiamento diffuso ancora oggi: tra il fascino del proibito e la demonizzazione. Un po’ di fascinazione la subii pure io quando uscì il primo spray riservato alla sclerosi multipla, Sativex, molecole di THC e CBD in rapporto 1:1 (ben diverse, quindi, dal cannabidiolo che si vende oggi nei negozi di ‘cannabis light’). Ma da malata avevo i miei validi motivi, speravo mi avrebbe eliminato il sintomo della spasticità. Per farvi un’idea di quanto sia invalidante una spasticità grave: mentre scrivo attendo un’ora di assistenza domiciliare dedicata alla sola doccia. Sessanta minuti per riuscire a movimentarmi in una cabina di 2 mq senza farmi cadere e a tentare di flettermi le gambe, rigide come sbarre d’acciaio. Solo chi la vive e osserva può capire l’entità della spasticità, il rischio di cadute, l’immobilità e la perdita funzionale progressiva che ne deriva. Attendevo lo spray piena di speranza, perché le molecole di prima scelta contro la spasticità, vedi baclofen, mi erano precluse: e potevo approdare – non senza fatica, c’era un discreto timore dei medici – alla cannabis spray solo come farmaco di seconda linea. L’addestramento, l’aumento graduale degli spruzzi, l’abitudine al sapore amaro, la routine mensile dell’autorizzazione e fornitura, il foglio di trasporto sempre con me, feci tutto come si deve. E quasi subito, l’”amara” doccia fredda.

Non è che lo spray non funzionasse proprio. Ma la spasticità, ormai, se ne stava con me 24 ore, giorno e notte. E certo 12 spruzzi al giorno, per quanto ben spalmati – il massimo consentito – non bastavano: la spasticità non si controlla ed è imprevedibile. Pareri contrastanti, entusiasti e delusi, alcuni preferiscono lo spray, altri la sostanza (con le solite disparità regionali nell’accesso). Alcuni amici da fuori Umbria con altre patologie o con lesioni spinali si procurano la pianta per farci tisane, decotti, biscotti o direttamente fumarla. E a sentir loro rigidità, spasmi, dolori sono attenuati meglio che con lo spray. Sento il mio giovane neurologo in merito: nel polo ospedaliero perugino la cannabis terapeutica in infiorescenza è erogata, ma nel reparto di cure palliative, quindi con l’esclusiva indicazione terapeutica del dolore. Per la ‘sola’ spasticità, nulla da fare.

Cerco su siti web, m’informo, vedo parlarne nei TG (quella famosa piantagione militare a Firenze… che fine ha fatto?). Sento altri neurologi che mi seguono a Genova e mi consigliano, come possibile aggiunta allo spray, 1 o 2 grammi a sera di decotto di cannabis in infiorescenza. Con una ‘controindicazione’: andrebbe importata dall’Olanda, ove risiede la ditta produttrice, e i costi della sostanza sarebbero tutti a carico mio.

Che fare? Nel frattempo la mia spasticità è peggiorata. Così come la vescica iperattiva, sintomo crudele. E pure per quel sintomo lì, al San Martino di Genova mi reinvitano a tentare di acquistarla (“sa, abbiamo avuto ottimi risultati nell’incontinenza…” “No dottore, lasci stare, troppo complicato. Mi tengo il mio spray, almeno è qualcosa“). Nel frattempo la spasticità è peggiorata e di cannabis mi tocca sentir parlare in campagne politiche becere, nelle conversazioni divertite o timorose sui social, in occasione delle crociate contro i poveri negozianti di cannabis light (tutto questo rumore per quattro gocce di cannabidiolo? Allora il mio spray è davvero roba tosta).

Tra speranze e confusione, tra una caduta e uno spasmo, la chiarezza arriva dal giovane neurologo amico. Il quale mi spiega che se il principio attivo non fa miracoli in spray, difficilmente li farà l’infiorescenza; che la risposta di questa sostanza, dalle potenzialità ancora da scoprire (leggetevi qualcosa sul nostro sistema endocannabinoide) è drasticamente individuale; che la cannabis funziona al suo meglio in add-on con altre terapie. E soprattutto, che quel ‘poco’ eventuale di efficacia, conviene tenerselo. Quel poco per me, a oggi, significa 20 minuti o pure una mezz’oretta di camminata col deambulatore alla sera, dopo che mi sono fatta i miei spruzzi. Mezz’ora in cui posso flettere finalmente le gambe, ri-articolare il passo e ricamminare, stare in piedi e muovermi. E vi pare poco. 

Prima di demonizzare o idolatrare, un po’ di razionalità non guasterebbe. Tra la gente comune ma anche fra gli stessi medici: giusto per evitare di sentirsi dire, come successe a me diversi anni fa da un neurologo, parole testuali, “non vorrei diventare il suo spacciatore”.