Va fatta una premessa, questo post non è di critica verso la mia sanità, nella fattispecie il Centro Ausili della ASL della mia città, così come la mia clinica riabilitativa, così come tutti i fisiatri a cui è capitato di prescrivermi degli ausili. Anzi: se c’è qualcuno, in questa fase di malattia, che mi fa sentire meno sola, sono proprio loro. Per qualsiasi nuovo problema pratico e di vita quotidiana che insorga, loro ci sono. I ragazzi del centro ausili, in particolare: li chiami, accorrono a domicilio, ti ascoltano, ti osservano. Studiano ogni tua mossa in casa, movimento, caduta o gesto fallito. E stanno lì a scervellarsi per trovare una soluzione su misura per te. Il problema è un altro. E cioè che per quanto la tecnologia, l’inventiva delle ditte produttrici, l’oggettistica su ausili e ortesi oggi non conoscano limiti, il rebus della fatica arriverà sempre a scombinare le carte.

Nelle foto si vedono pochi esempi della miriade di oggetti che il Nomenclatore tariffario nazionale mette a disposizione di un disabile. “Ricordati, Laura” mi ripetono nei sopralluoghi “che per quanto la malattia progredisca, noi ci saremo sempre. Tu ci devi soltanto chiamare, e qualcosa insieme lo studiamo” (solo questa frase meriterebbe un grazie in eterno e a prescindere, ndr). E così li chiami, mano a mano che la progressione ti complica scendere dal letto, vestirti, lavarti, afferrare oggetti lontani o caduti oppure in alto, mangiare, bere, lo stesso scrivere. Vengono a casa in squadra, ormai ci si conosce da una vita, da quella primissima fornitura di carrozzina anni fa. Oggi l’ordine dei problemi è cambiato e, come ti siedi e alzi dal water? Come li fai, i passaggi e i trasferimenti? Come ti giri e ti muovi, come ti infili le mutande, come ti aggrappi al palo, come ti porti il boccone in bocca? Solo il vestirsi, pensate: pensate a mutande, collant e pantaloni quando le gambe sono tese, rigide, in ipertono spastico. Pensate a dover mangiare e bere quando la conduzione nervosa rallentata non vi fa muovere le braccia e le mani; pensate a prendervi un paio di jeans appesi là in alto, o a quello stupido smartphone che cade sempre, e voi però non ci arrivate a raccoglierlo. Gli esempi sono svariati perché la nostra giornata quanto a sforzi è una palestra h24, a volte solo faticosa, e va pure bene perché ci si allena (leggi post Un nido d’amore quasi domotico); altre invece, pericolosa. Per tutti questi problemi ci sarebbero gli ausili per la mobilità e le ortesi.

Dico ‘ci sarebbero’, perché l’unico fattore di cui l’ausilio o l’ortesi non potrà mai tener conto, è la

fatica. Ultima visita domiciliare degli ‘angeli custodi’ del Centro Ausili: ho difficoltà a mangiare, spesso devo farmi imboccare perchè le mani non si sollevano né muovono. La soluzione è pronta: posate, forchette e coltelli ricurvi (nella foto), che accorcino la distanza con la bocca, e magari con un manicotto di gomma che stabilizzi la presa della mano. Splendido: ma forse quegli ausili sono stati congegnati per disturbi come il Parkinson. Su di me, il manicotto di gomma non solo non stabilizza, ma appesantisce la posata come un macigno. Si estrae il manicotto e si tiene la sola posata: ma la posata così ricurva, senza contrappeso, cade giù verticale. Risultato? Ci si arrangia come prima.

Vestirsi dicevamo, soprattutto d’inverno, quando le gambe sono spastiche per il freddo e solo infilarsi le mutande è un goal. “Tranquilla Laura, ci sono una serie di ortesi disegnate appositamente”. Pronti, appuntamento, stavolta fra donne per le inevitabili prove, con la terapista che mi guarda, pensa, sfoglia il catalogo. Risultato, una marea di ortesi (si chiamano così e neppure lo sapevo) ad hoc. Le ordino, le provo. Lo Stato in questo ancora ci protegge e va da sé che è tutto erogato dal SSN. Però a dar retta a come sono congegnate le ortesi, a vista simili a gabbiette di ferro, dovrei prima arrotolare le calze su esse – e già chinarmi in avanti, la mattina, è un serio rischio di cadere – poi alzare la gamba, piede a punta – spesso però perdo totalmente il controllo di dove sta e di come dirigerlo, il mio piede! – e riuscire prendendo la mira ad infilarlo dentro l’ausilio, infine tirar su la ‘gabbietta’ di ferro che così srotola il collant sulla gamba. A dar retta sarei già caduta tre volte, nel frattempo. Alla fine ci si arrangia come prima: manovre sulle gambe tese e acrobazie stile ‘burlesque sulla carrozzina’.

Attenzione, non dico che ausili od ortesi siano inutili per chiunque: magari c’è chi ne trae grande aiuto. Ma per me niente. Vestirsi atto secondo, uguale mettere jeans o vestiti, tradotto alzarsi per prendere le stampelle nell’armadio: impossibile. Che sarà mai, ci sono pinze apposite, di tutti i tipi e le fogge. Sfogliata al catalogo, prova. Le pinze sono pesantissime, non le reggo neanche dritte avanti a me. Okay, cerchiamone un modello molto più leggero… Che esiste, ma è anche molto più corto e sottile. Utile magari come raccogli-oggetti, ma da seduta fin su al guardaroba – al mattino si è contratti e non ci si allunga – non ci arriverò mai. Ringrazio, lo prendo e lo metto da parte, servisse mai come raccogli-oggetti (lo userò di rado: quando arriva la fatica non mi sbilancio a raccogliere, non allungo il braccio, la borraccia per bere caduta, se ne resta lì. E quando non ho fatica, la borraccia la raccolgo da me, anzi mi ci alzo pure).

Stessa trafila con i manicotti di gomma per le penne per chi fatica a scrivere (una mazzata, per chi ne sente tutto il peso); leggii e scrittoi per aiutarmi a scrivere dalla poltrona (devo manovrarli braccia in avanti, porca miseria è il minimo… Ma in quei momenti, le braccia stanno immobili); ausili per la mobilità come i ‘dischi

rotanti’ da pavimento per agevolare i passaggi, spostandosi di peso sulle braccia da poltrona a letto, per esempio, e facendo muovere là sopra le gambe: deleteri per chi ancora si mette in piedi d’istinto (tipico di una SM) e va a cadere; i tutori per i piedi (nella foto) che agganciano le asole delle scarpe al collo del piede e lo ‘tirano su’ artificialmente, consentendo così un passo corretto (chi conosce il problema del foot drop o ‘piede cadente’ sa di cosa parlo): magari, il piede lo si solleva. Ma se camminando col deambulatore ti accasci sulla parete a fianco, per la stanchezza; oppure se hai le gambe spastiche e rigide e non le alzi da terra, c’è poco da tenere i piedi dritti: la camminata agognata non si può fare.

Mi si obietterà che è una questione di corretta valutazione degli ausili: ma le competenze ci sono e gli articoli a disposizione pure, anzi il settore negli ultimi anni è esploso, e per fortuna. O che ad altre persone gli stessi articoli un qualche sollievo lo danno. Questo è pacifico. Ma in anni di malattia, dagli ausili classici per la mobilità, esempio emblematico il peso della carrozzina (andate voi con una SM a caricarvela in auto…), a tutti i gadget per le situazioni più sottili, ho visto che con la SM c’è sempre qualcosa che sfugge.

Detto che nessun ausilio potrà mai sostituirsi al corpo umano, una condizione sfuggente e capricciosa come la fatica è destinata a non trovare mai una soluzione tecnica poco più che parziale. Con buona pace del Nomenclatore, dei medici, dei terapisti, di tutti gli “angeli custodi” che si svenano – e lo fanno davvero – per non farci sentire soli.