Quest’aggeggino che si vede in foto le persone in carrozzina lo conoscono bene, gli altri magari non ci avranno fatto caso. È l’antiribaltamento, meglio noto come “ruotino”. Il ruotino è un ‘vip’, lo conoscono tutti nel settore. Capisci presto, da neo-carrozzato, perché. Quando t’impenni – e t’impenni spesso in carrozzina, per superare uno scalino piccolo, un cordolo, un dislivello: è una manovra abituale – il ruotino ti permette di scavalcare l’ostacolo e tornare alla posizione di partenza senza rovesciarti. Quando “sali in carrozza” per la prima volta te lo fanno provare immediatamente, perché è vitale. Il ruotino deve essere calciato all’indentro da un terzo, ruotandolo sotto il telaio, quando impiccia, ad esempio quando devono issarti sopra uno scalino grosso. È necessario farla spesso l’operazione, in un mondo di barriere piccole o grandi.

Succede che ce ne stiamo in un hotel in Alto Adige, quest’estate, a cena. A cena e in mezzo ai tavoli il ruotino dà fastidio, i camerieri che corrono da un tavolo all’altro non lo vedono, ci caracollano sopra e si riprendono stile comiche. Chiedo a Stefano, “chiudiamolo il ruotino, se no si ammazzano”. Calcio in dentro, ruotino chiuso, mangiamo. Succede poi che ce ne saliamo in camera dopo la cena. Un’idea stupida, al volo. “Vado in terrazza per vedere se ha smesso di piovere”. Che in quei brevi istanti diventa “vado in terra….”. E poi il buio.

T’impenni, resti mezzo secondo a mezz’aria, neanche il tempo di capire e quando hai capito sei già a terra, gambe all’aria, ribaltata all’indietro, la testa che ha picchiato sul pavimento. Non avevamo, né Ste né io, ripensato a rimettere il ruotino a posto. Tutto nero davanti con le gambe all’aria, la carrozza capovolta come un giocattolo. Mi manca il fiato, Stefano si avventa su di me e inizio a piangere più che altro per lo spavento. Stiamo lì come koala, io che piango e lui che mi calma, poi mi rimette seduta e via a cercare il ghiaccio. Ghiaccio sul bernoccolo, tachipirina, dolore e capogiri, archiviamo e la vacanza è salva; ma di sicuro, da quel momento nessuno di noi due si scorderà mai più di rimettere il ruotino a posto, perché era quello, che ci eravamo dimenticati per un banale attimo, dopo una banale cena, dopo una banale giornata di vacanza: rimettere-a-posto-il-ruotino. Ti sei dimenticata? Hai mollato per un attimo, solo per un attimo, il controllo? Pum.

Niente di grave, storia capitata a molti, sarebbe stato peggio se la craniata fosse stata su asfalto o sassi. Ma il ruotino da allora per me è l’emblema del controllo, quel controllo ossessivo che non devi mollare mai, a rischio di farti male, quando hai una disabilità grave. Gli amici, armati delle migliori intenzioni, spesso non capiscono perché io sia così iper-controllante. Dai, facciamoci una giornata. Ti accompagno io, con i tuoi orari vediamo, col posto vediamo, gli ausili, si fa… Non sai se sono attrezzati? Non sai dove vai? Ma è il bello del viaggio. Facciamo tardi, sbevazziamoci, che male ti farà. Andiamo in quel posto? Lo decidiamo lì per lì (“lo decidiamo lì per lì”: che musica lontana per le mie orecchie).

La mia condizione fisica è una routine ripetitiva e cadenzata che va dalla mattina alla notte, tutti i giorni senza festivi, più le 3 volte notturne in cui mi alzo (e fra spostarmi, muscoli torpidi e squilibrio, devo stare più attenta e concentrata che mai). Di mattina non posso dire “mi sveglio, due bocconi e arrivo”, la sveglia è una procedura lunga un 2 ore per riattivare il corpo, tronco, gambe e braccia – pena il cadere, o rovesciare il latte da una mano che pensavo fosse attiva e m’ha tradito. Non posso bypassare una volta alimenti o lassativi chimici causa intestino neurologico. Poi c’è la rimessa in piedi, lunga e spastica, ma vale di perderci tempo; poi c’è il bagno, la doccina-bidet, il palo destro e il maniglione sinistro a cui ho imparato ad aggrapparmi in modo ‘coreografico’, prima o poi ci farò un tutorial; poi vestirsi, senza aiuto se sto bene, aiutata se la spasticità mi tende le gambe tipo acciaio e manca l’equilibrio. Non posso uscire se non sono andata di corpo. Se piove, con la carrozza è un casino sia fuori che al rientro, quando chi mi porta, prima asciuga pedale ruote e corrimano, poi fa entrare me. Questo d’inverno, mentre d’estate ci sono altre reazioni fisiche da arginare (vedi alla voce Sindrome di Uhthoff). Stanca dopo le 6 vasche nuotate? La spasticità me lo fa pagare sempre, la notte stessa. La “caduta del sabato notte” la chiamo: regolare, routine.

Attività, gesti, tragitti e soste, tempi per l’urgenza sfinterica, climi e temperature, manovre tecniche, è tutto previsto e ripetitivo, pena l’”incidente”. La vita sociale bisogna pianificarla come il Risiko. Un giorno di vacanza o cena da amici? Splendido, ma fa sì che io non abbia tempo di alzarmi, e se non ho camminato i miei passi quotidiani, pago con dolori da immobilità: alle una di notte mi metto a camminare quei passi contati, noiosi fatti così, ma che sollievo. Le ore in cui passa il ‘treno della fatica’ (vedi post) – sarebbero preziose per levarmi dalle scatole tante incombenze, ma in quelle ore sto a letto con la fatica centrale (mi metto nei panni delle persone che tra figli e lavoro venderebbero l’anima per riposarsi: il loro però sarebbe riposo genuino, la mia è una specie di paralisi non scelta, in cui è tutto rimandato a “tra molte ore”). Come e da quale lato mi giro e mi alzo dal letto? Questo deciderà da che lato mettere la sponda di metallo, quella da cui non posso più separarmi (e che mi porto ovunque), la carrozzina parcheggiata a lato, infine il lato del letto: se sono in ospedale o in vacanza, cambia tutto e le cadute sono frequenti. A meno ovviamente di concentrarmi bene. La concentrazione, quella non deve mancare mai.

Perché sono io sola, alla fine, a dover gestire il mio corpo, in casa e fuori, con o senza aiuto – sul palo fissato in bagno mi devo caricare io per tornare alla carrozzina dopo la doccia; sono io che devo capire quando è il momento per fare un passaggio posturale senza rischi; sono io che valuto quanto bere per non pagarlo in incontinenza; quanto posso allungare i tempi sulla fatica; quanto posso trattenermi a parlare con qualcuno, “prima che”…. (si esauriscano le forze, me la faccia addosso, non riesca più a parlare, riempire i puntini a piacere); quando posso cambiare poltrona e rischiare la mia Ikea preferita più difficile, perché se non mi alzo c’è qualcuno che ha le chiavi di casa e può passare, o perché dopo 5 o 6 alzate fallite riesco a farcela. Ho voglia di uno stretching mattutino al tappeto: guai, al mattino non mi rialzo. Che sarà mai, viene l’assistente, ti raccoglie lei… L’assistente di turno però è quella senza chiavi, non l’avevi calcolato: te ne stai stesa sul pavimento, lei fuori del portone al telefono a chiamare tuo marito.

A questa routine sfiancante pian piano ti abitui (come tutti, in fondo: penso alle neo-mamme e alla loro fatica) e trovi una tua normalità, questa è la notizia positiva. Quella negativa è che è proprio quando non ci fai caso – magari perché sei in vacanza e alleggerisci per un po’ la mente – che ‘dimentichi il ruotino’. Sapete cosa vorrei, in una settimana magica? Non ricamminare, non ri-nuotare spedita (vedi post). Poi farebbe troppo male ritornare all’oggi. Vorrei un po’ di tregua. Non pensare, solo vivere come viene. Senza chiedere chissà cosa: vivere come viene. Senza conseguenze fisiche, senza dover calcolare fastidi, rischi o pericoli. E magari, un po’ di variazione sulla routine.

Dimenticavo. Il dispositivo anti-ribaltamento, il ruotino, nelle carrozzine superleggere (come la mia) è classificato come “optional”. Se lo vuoi devi pagartelo privatamente, poiché non è compreso nel Nomenclatore Tariffario degli ausili come rimborsabile.  Una cosa di cui si può fare a meno.
Opzionale, libera, appunto.